part-time verticale

Fino ad oggi discriminati nel calcolo pensionistico che non gli riconosceva i periodi di pausa lavorativa, i lavoratori in part-time verticale accedevano alla pensione molto più tardi degli altri, lavorando più anni. Oggi, dopo anni di battaglie e di ricorsi legali, con la Legge di bilancio 2021 finalmente giustizia è fatta.

È stata una battaglia dura e lunga anni quella della Cgil al fianco dei lavoratori in part-time verticale ciclico. Chi sono? Sono quei lavoratori regolarmente contrattualizzati ma la cui professione, spesso per sua stessa natura, si svolge stagionalmente. Pensiamo al settore dell’educazione e dell’istruzione, ma anche al turismo, alla ristorazione (in particolare delle mense) e tanto altro ancora.

Lavoratori che fino ad oggi hanno subito un’enorme ingiustizia e discriminazione in quanto, nel calcolo dei contributi per acquisire il diritto alla pensione, non venivano contati i periodi di sosta lavorativa. Il risultato? Dover lavorare molti più anni per accedere alla pensione. La colpa? Aver scelto una professione stagionale.

Una discriminazione la cui visibilità ha varcato persino i confini nazionali. Nel 2010, infatti, la Corte di Giustizia Europea constatò la discriminazione subita da questi lavoratori in Italia. Principio recepito in moltissime sentenze, anche di Cassazione.

E dopo tante ingiustizie subite, ricorsi fatti e cause imbracciate, finalmente il Governo è stato indotto ad un intervento risolutivo. Con la nuova Legge di Bilancio 2021, infatti, si stabilisce finalmente che sarà permesso ai lavoratori in part time verticale di accedere al pensionamento considerando tutti gli anni di lavoro, al pari di tutti gli altri lavoratori. Secondo alcune stime dell’Inps, questa misura permetterà, già nel 2021, un accesso al pensionamento a circa 5mila persone.

“Si tratta di un risultato politico importante – commenta la Cgil – ottenuto grazie alla mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori, grazie ai presidi ai e tantissimi ricorsi legali degli ultimi anni. Una grande vittoria per noi, un diritto riconosciuto per chi lavora. Finalmente giustizia è fatta!”.

#StareBeneDentro

#StareBeneDentro, la campagna della Fp Cgil per gli uomini e le donne della polizia penitenziaria. Una serie di proposte consegnate alla politica: dai casi di suicidio al problema della genitorialità, fino al divario tra uomini e donne, ecco i principali punti da cambiare

 

Il carcere, una realtà tra le più complesse, per chi vi “risiede” e per chi ci lavora trascorrendo diverse ore al giorno. Un ambiente spesso aggressivo, trascurato e ai limiti della sicurezza. Non è un caso che aumenti progressivamente, anno dopo anno, il numero dei suicidi di agenti di polizia penitenziaria insieme al numero di aggressioni. Basti pensare che nel solo 2020 siamo già arrivati a sei casi di suicidio. Un fenomeno in spaventosa crescita.

Ma cos’è che non funziona nel carcere oggi? Cosa rende difficile la permanenza e le ore di lavoro negli istituti penitenziari? La Fp Cgil lo ha chiesto agli uomini e alle donne della polizia penitenziaria di tutta Italia, ha visitato carceri, ha ascoltato esperienze dirette e testimonianze. E ha ricostruito tutto quello che manca nel sistema, o almeno una parte.

Oggi nelle carceri alcuni diritti basilari, che si direbbero acquisiti, al contrario mancano completamente. Non concessioni, ma veri e propri elementi di civiltà. Per questo la Funzione pubblica ha lanciato e porta avanti la campagna #StareBeneDentro, una campagna fatta di proposte per migliorare la realtà delle carceri. Proposte consegnate a Bernardo Petralia, capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria. “È arrivato il momento di chiedere alla politica una risposta, che sia chiara, che sia netta. È un fenomeno che non può più essere ignorato o messo in secondo piano”, commenta il sindacato.

Ma cosa manca nel carcere? Cosa rende le condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria così difficile? Ecco una carrellata di alcuni punti.

Sapevate che negli istituti penitenziari mancano i servizi igienici divisi tra uomini e donne?
Ebbene sì, nella maggior parte delle carceri italiane ancora oggi mancano servizi igienici (docce, bagni, spogliatoi, stanze per il pernottamento e armadietti) suddivisi tra uomini e donne. Il risultato è che le colleghe donne devono rinunciare a usufruirne, oppure attendere che i servizi siano vuoti o spogliarsi e indossare l’uniforme in sgabuzzini di fortuna. Una situazione inaccettabile.

I casi di suicidio aumentano, così anche le aggressioni. Ma per gli agenti di polizia penitenziaria non è prevista alcuna assistenza psicologica.
Ancora oggi, troppo spesso, l’assistenza psicologica è considerata un tabù, nella migliore delle ipotesi un optional irrilevante. Eppure in ambienti come quello del carcere, così duri e complessi, una buona assistenza psicologica può fare la differenza. “Noi crediamo – spiega la Fp – che a tutto il personale di polizia penitenziaria che lavora negli istituti debba essere garantita un’assistenza psicologica completamente gratuita”.

Essere genitori non può essere un handicap, bisogna tutelare la genitorialità con turni ed orari di lavoro flessibili.
Nel mondo del lavoro, si sa, essere genitori è spesso visto come un limite. Nel carcere mamme e papà sono spesso lasciati soli a gestire con estrema difficoltà la conciliazione tra lavoro e vita privata. “È il caso di tutelare i genitori di bambini piccoli dando loro la possibilità di organizzarsi su turni ed orari flessibili, in base alle esigenze familiari”.

Sapevate che le donne sono quasi completamente escluse dalla possibilità di fare carriera?
Questo è reso possibile dal fatto che nei concorsi per i ruoli di ispettore e di sovrintendente (ruoli che non prevedono il contatto diretto con il detenuto e che quindi non spiegano l’esclusione femminile) viene riservato alle donne solo il 9% circa di posti a concorso. Solo 9 donne, contro 91 uomini, possono provare a fare carriera. Un dato sconcertante per il quale non si riesce a trovare una motivazione, nemmeno apparente.

Formazione per il personale, sensibilizzazione e contrasto alle molestie sessuali sono due percorsi da attivare all’interno del carcere. 
“Immaginiamo un percorso di formazione del personale e di sensibilizzazione al tema delle pari opportunità che coinvolga tutti: dipendenti e dirigenti. Parallelamente sarebbe opportuno attivare all’interno delle carceri un processo di monitoraggio e di contrasto alle molestie sessuali. Questo per evitare che il tema di genere sia sentito solo dalle donne, quando al contrario si tratta di una battaglia di civiltà che ci riguarda tutti, nessuno escluso”.

Va da sé che, in un ambiente così delicato, la mancanza di questi diritti non fa altro che rendere ancora più rovinosa la permanenza lì dentro. In un contesto, già di per sé difficile, in un equilibrio precario tra il garantire sicurezza da una parte, e attivare un percorso di rieducazione dall’altra. Questi sono solo alcuni dei punti da cui si può partire per provare a rendere la permanenza nel carcere più serena. “Crediamo possano realmente offrire un miglioramento alla vita e al lavoro nel carcere. Tanto è il lavoro da fare e non possiamo farlo da soli, non possiamo farlo senza l’aiuto dei protagonisti di questa esperienza: i lavoratori”. È per questo che il sindacato lancia, parallelamente alla campagna #StareBeneDentro, un questionario rivolto a tutti gli agenti di polizia penitenziaria che lavorano nelle carceri. Un aiuto essenziale per raccogliere informazioni e comprendere, con gli occhi di chi lo vive, cosa sia realmente la vita nel carcere.

Convenzione Oil

Dopo il Sì della Camera, anche il Senato, su proposta dell’Onorevole Laura Boldrini, approva la Convenzione Oil sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro. Ora anche l’Italia, come gli altri stati membri dell’Oil (organizzazione internazionale del lavoro), dovrà impegnarsi a garantire, attraverso leggi e regolamenti, il diritto ad un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie.

Secondo la Convenzione Oil sono molestie anche i comportamenti che violano la dignità della persona.

Uno dei punti innovativi della Convenzione Oil è la sua ridefinizione di che cosa sia da ritenersi violenza o molestia. Non sempre infatti questi comportamenti sono facili da individuare, perché più velati, più subdoli. La Convenzione lo dice chiaramente, la violenza e le molestie si verificano quando un individuo subisce aggressioni, abusi, minacce o umiliazioni in un contesto di lavoro. Sono da considerarsi molestie anche i comportamenti che, seppur non perpetrati con tale scopo, hanno l’effetto di violare la dignità della persona, nuocere alla salute o creare un ambiente di lavoro ostile.

Convenzione Oil

In Italia 1,4 milioni di donne subisce violenza o molestie a lavoro.

Una ridefinizione del concetto di molestia che si rendeva necessaria, se pensiamo che violenza e molestie sono un fenomeno che colpisce milioni di persone in tutti il mondo e in tutte le professioni. In Italia circa 1,4 milioni di donne subisce violenza o molestie nell’arco della propria vita lavorativa. Il settore più colpito è quello dei servizi, la fascia di popolazione maggiormente interessata è quella di età medio-giovane e, incredibilmente, con un livello di educazione medio-alto.

Convenzione Oil: prevenzione e risarcimento da una parte, ma soprattutto sensibilizzazione per sradicare questa sub-cultura da quattro soldi.

Ma come intervenire per scardinare un fenomeno così radicato? Secondo la Convenzione Oil, bisognerà agire in tre direzioni: prevenzione, risarcimento e sensibilizzazione. Bisognerà mettere in atto tutti gli strumenti possibili per far sì che questi eventi drammatici non si verifichino, poi bisognerà intervenire con misure repressive e di risarcimento per coloro che cadono vittima di tali dinamiche, accompagnarli e sostenerli nell’accedere alla giustizia senza difficoltà, e infine bisognerà intervenire alla radice del problema: nella formazione e sensibilizzazione di uomini e donne sui posti di lavoro, per sradicare questa sub-cultura da quattro soldi ed eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna e su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini. Tutti gli Stati che hanno aderito alla Convenzione dovranno impegnarsi in tal senso, attraverso l’emanazione di leggi e regolamenti per attuare tutte le misure necessarie di prevenzione e di repressione, e attraverso il coinvolgimento e l’impegno dei datori di lavoro.

Convenzione Oil

“I posti di lavoro devono diventare zone sicure, dove sia possibile lavorare senza avere paura”

“L’abbiamo chiesto a gran voce – spiega Lara Verbigrazia, Responsabile delle Politiche di Genere della Fp Cgil – perché purtroppo nel mondo del lavoro le aggressioni e le molestie non sono affatto un fenomeno marginale. È assolutamente necessario proteggere tutti, uomini o donne che siano, non soltanto dell’abuso fisico, ma anche da quello verbale, oltre che dai fenomeni di stalking e mobbing”. Dunque ci lasciamo con questo ottimo traguardo raggiunto e i buoni propositi che ne conseguono, ma con la promessa di monitorare l’efficacia delle misure adottate, affinché i posti di lavoro diventino davvero delle zone sicure, dove sia possibile lavorare serenamente e senza timori.

E come è scritto ne “I nuovi femministi” di Pastore e Giolo, si può “scorgere quanto spesso, nelle società occidentali, sia solo retorico il riferimento ai diritti fondamentali delle donne e quanta distanza ancora intercorra tra le dichiarazioni d’intenti e le tutele effettive dei bisogni delle donne”.

Per la campagna di vaccinazione ancora una volta si reclutano nuovi precari. Medici e infermieri che, concluso il Piano Vaccini, torneranno a casa. E il bando è un flop, mancano gli infermieri. Fp Cgil: “Serve un investimento stabile, non solo quando siamo nei guai”.

Stiamo assistendo a quella che è probabilmente la più grande campagna di vaccinazione di tutti i tempi. In tutto il mondo ci si mette “in fila” in attesa del proprio turno, secondo un indice di priorità che vede ai primi posti operatori sanitari, ospiti delle rsa e soggetti “fragili”, per vaccinarsi contro il Covid-19, che da gennaio 2020 ha stravolto le nostre vite.

Per affrontare questa gigantesca impresa è necessario chiamare a raccolta tutte le risorse possibili. Per questo il governo italiano, attraverso il Commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri, ha lanciato un appello a medici, infermieri e assistenti sanitari di tutto mondo, per il reclutamento di 15mila operatori a sostegno della campagna di somministrazione del vaccino.

Per farlo, il mese scorso è stato istituito un bando che, attraverso cinque agenzie per il lavoro, prevede la selezione e il reclutamento di 3mila medici e 12mila infermieri e assistenti sanitari che saranno inquadrati con un contratto di somministrazione a tempo determinato della durata massima di 9 mesi. Il rapporto di lavoro continuerà solo nel caso in cui il Piano Vaccini richiedesse un ulteriore sforzo. In caso contrario i rapporti di lavoro cesseranno, in quanto “non danno diritto all’accesso ai ruoli del servizio sanitario regionale”. Così si legge nel testo. Un bando che, per il momento, è andato deserto, con la candidatura di meno di 4mila infermieri, sufficienti a coprire meno di un terzo dei posti necessari.

“Affidare il reclutamento alle agenzie per il lavoro vuol dire perdere tempo e denaro utili alle vaccinazioni”

Un reclutamento, quello stabilito dal Commissario Arcuri, che è cominciato lo scorso 16 dicembre e che prevede che medici e infermieri entrino in servizio a fine gennaio. Questo è solo uno degli aspetti che lascia perplessa la Fp Cgil. “Una perdita di tempo che in questa fase non possiamo permetterci. Un mese in più di lavoro e di personale in campo vuol dire migliaia di persone vaccinate in più. Perché istituire un bando, che richiede dei tempi di valutazione e selezione dei candidati, quando abbiamo diverse fonti cui attingere nell’immediato?”. Ci si riferisce ai tantissimi esclusi dai corsi di specializzazione ma pur sempre laureati, o anche ai medici di continuità assistenziale (la guardia medica), per non parlare delle tantissime graduatorie dei vecchi concorsi pubblici, piene di nomi di candidati risultati idonei che sarebbero già pronti per un reclutamento immediato. Senza contare che affidare ad un soggetto terzo il compito di reclutare medici e infermieri vuol dire disperdere anche risorse economiche che, piuttosto che a remunerare le agenzie sarebbero potute servire per l’assunzione di un numero maggiore di operatori sanitari, procedendo più velocemente con il Piano Vaccini. Dunque, che bisogno c’era di affidarsi ad agenzie piuttosto che procedere con assunzioni dirette? È questo il grande interrogativo del sindacato.

“Non si può agire solo quando si è nei guai. Bisogna rafforzare la sanità pubblica in modo stabile”.

L’altro aspetto che lascia perplesso il sindacato è la scelta, ancora una volta, di creare un nuovo esercito di precari. “Questa pandemia non ci ha insegnato quanto sia necessario rafforzare il nostro Servizio Socio Sanitario Nazionale? Pensiamo ancora di procedere per le scorciatoie del lavoro precario?”. In effetti, abbiamo tutti vissuto un 2020 da incubo che ci ha mostrato le fragilità della nostra sanità pubblica, su cui negli anni si è progressivamente disinvestito. “E noi pensiamo ancora di agire in emergenza. Non è possibile spendere soldi e cercare risorse solo quando si è nei guai”. Bisogna rafforzare la sanità pubblica di questo paese in modo stabile, questo il punto cruciale per la Fp Cgil. “Ma se anche volessimo guardare solo alla campagna di vaccinazione, si sta affrontando la questione come se si risolvesse in qualche settimana, quando invece è chiaro che il processo andrà avanti perlomeno per tutto il 2021”.

“Vaccinarsi è un atto di responsabilità”.

Ovviamente la Fp Cgil non dimentica di fare un appello sul vaccino, rivolto a tutti, cittadini e governanti. “Un atto di responsabilità dello Stato nei confronti della popolazione. Un atto di responsabilità del singolo nei confronti della propria salute e di quella dei propri cari. Ed è un
atto di responsabilità di ciascuno nei confronti della collettività”.

“Abbiamo la responsabilità di fare informazione sul vaccino”.

Eppure una grossa diatriba gira attorno al tema del vaccino, tra no-vax da una parte e comunità scientifica dall’altra. Per questo un’enorme responsabilità è quella di informare. “Bisogna assicurare una campagna informativa chiara e diffusa dappertutto. Bisogna garantire a tutti il diritto alla corretta informazione e alla tutela della propria salute, e di quella altrui. Noi, per farlo, come sempre, saremo in campo”.

Leggi il nostro appello per la campagna di vaccinazione

Anticipo Tfs/Tfr

Anticipo Tfs/Tfr: a distanza di due anni un meccanismo burocratico, farraginoso (e poco conveniente, per lavoratori e banche) affossa la misura introdotta con Quota 100. “La toppa per ovviare al sequestro delle indennità dei lavoratori è stata peggiore del buco”.

 

L’anticipo del Tfs/Tfr per i lavoratori pubblici, a distanza di due anni dalla norma che lo ha previsto, si rileva nei numeri un vero e proprio fallimento. Quota 100, approvata nel gennaio del 2019, prevedeva infatti la possibilità per pensionati e “pensionandi”, giunti a questa agognata media per vecchiaia, anzianità di servizio e, soprattutto, per l’anticipo frutto del combinato disposto 62 anni di età e 38 di contributi, di richiedere alle banche fino a 45 mila euro di prestito agevolato, da restituire una volta sbloccata la propria indennità di fine rapporto.

Una misura introdotta anche per anticipare i temi di incasso di quanto dovuto ai lavoratori, che rischiano di aspettare anche diversi anni per ricevere la loro liquidazione, specie per chi usufruisce di quota 100 e che difatti deve aspettare di maturare il raggiungimento dell’età di pensionamento per poter ottenere la sua indennità.

Soltanto in estate sono arrivati il regolamento e l’accordo quadro con l’Abi, l’associazione delle banche, per erogare l’anticipo e a metà novembre la circolare Inps che ha dato il via alle domande. C’è voluto ancora un mese perché arrivassero le informazioni anagrafiche del Fondo di garanzia che assiste i prestiti e solo l’11 dicembre l’Abi ha diffuso una circolare agli associati spiegando la procedura e auspicando una “ampia e tempestiva adesione all’iniziativa da parte delle banche”.

Come ricostruito da ‘La Repubblica’, per ricevere l’anticipo bisogna rivolgersi agli istituti convenzionati, di cui è dato un elenco pubblico sul portale del Dipartimento della funzione pubblica. Ma delle tredici banche inizialmente segnalate, ben nove si sono sfilate. “Il meccanismo non funziona: la toppa per ovviare al sequestro delle indennità dei lavoratori è stata peggiore del buco”, spiega Claudio Tosi che per la Funzione Pubblica Cgil segue il tema previdenziale, aggiungendo che: “Evidentemente le banche non trovano sufficientemente remunerativo il servizio, che invece richiede molto lavoro a livello burocratico”, aggiunge. Il meccanismo risulta infatti essere abbastanza farraginoso, una procedura che può richiedere anche fino a sei mesi per poter ricevere quanto spetta, pagandoci allo stesso tempo un interesse. “Non certo un buon affare per chi va in pensione e non aspetta altro che ricevere quel che gli spetta”.

 

Su questo punto, come sul complesso delle materie previdenziali, la Fp Cgil ha lanciato negli scorsi mesi un servizio di consulenza gratuita dal titolo ‘Fp Consult’. Un servizio, ideato e realizzato dalla Fp Cgil, che sta registrando un notevole successo mettendo a disposizione uno sportello per aiutare ad orientarsi sul sistema previdenziale. Come? Richiedendo un appuntamento telefonico con i nostri esperti, che risponderanno alle tue domande.

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La nostra famiglia

L’associazione La Nostra Famiglia, che si dedica alla cura e alla riabilitazione delle persone con disabilità, soprattutto in età evolutiva, divide i lavoratori passando al contratto Aris Rsa. Sindacati e lavoratori, insieme ai familiari dei pazienti, non ci stanno.

Un cambio di contratto di lavoro, ovviamente verso uno peggiorativo. Un’operazione di divisione dei lavoratori, perché il cambio interesserà molti ma non tutti. Uno scarico di responsabilità a motivare il tutto, che neanche a dirlo non contempla errori gestionali da parte dei vertici. È il complesso intreccio relativo alla vertenza che riguarda ‘La Nostra Famiglia’ – ovvero quell’associazione che, come si legge sul loro sito, si dedica alla cura e alla riabilitazione delle persone con disabilità, soprattutto in età evolutiva, presente in sei regioni italiane – e che vede la scelta dei vertici dell’associazione di operare un cambio di contratto per larga parte dei suoi dipendenti.

Una vertenza che si trascina da un anno, peraltro raccontata dai sindacati in una lettera aperta indirizzata ai familiari dei piccoli pazienti, e che si è acuita nel corso delle scorse settimane quando l’associazione presieduta da Luisa Minoli, esattamente lo scorso 6 novembre, comunicava la proposta di suddividere l’applicazione del contratto: a circa 1.600 lavoratori quello di Aris Rsa e ai rimanenti 400 quello della Sanità Privata, appena rinnovato. Il tutto adducendo motivazioni di tenuta occupazionale, anche in ragione di perdite di bilancio (imputabili, come sostengono i sindacati, alla mancanza di un vero controllo di gestione). Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl ribadivano quindi la volontà a ricercare soluzioni alternative, possibili nel caso ci fosse una effettiva volontà, ma respingevano al mittente l’ipotesi di diversificare il contratto nazionale di riferimento, rivendicando per tutti i 2.000 dipendenti il nuovo contratto della Sanità Privata.

Seguivano ulteriori incontri, con i sindacati a sollecitare La Nostra Famiglia ad aprire le interlocuzioni necessarie con le Regioni, ma senza nulla di fatto. E arriviamo così a oggi con i sindacati e i lavoratori sul piede di guerra, rifiutando in maniera categorica di sottoscrivere un accordo che non riconosce ai lavoratori quello che legittimamente aspettano da 14 anni, ovvero il contratto nazionale della Sanità privata. E la vertenza prosegue, segnando un passaggio cruciale nel sostegno che i familiari dei piccoli pazienti stanno offrendo alle lavoratrici e ai lavoratori in lotta per i loro diritti. Decine e decine di messaggi sono infatti arrivati presso le strutture dell’associazione da parte dei familiari dei bambini assistiti in solidarietà con la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori: uniti, utenti e operatori, per rivendicare dignità e rispetto per i lavoratori dell’associazione. Tra i messaggi anche quello del campione interista Javier Zanetti che, con una netta scelta di campo, ha scelto di stare dalla parte dei lavoratori. La lotta continua quindi perché in ballo non c’è “solo” il diritto dei lavoratori a vedersi riconosciuto il giusto contratto ma anche la cura che questi ultimi garantiscono, con professionalità e abnegazione, alle bambine ai bambini interessati.

funzione protettiva

Funzione protettiva. È questo il nome del servizio di ascolto messo in piedi dalla Fp Cgil e rivolto a tutte le lavoratrici e i lavoratori dei servizi pubblici iscritti alla Cgil.

Funzione Protettiva è un servizio gratuito pensato per dare un primo sostegno ai lavoratori con problematiche come lo stress da lavoro correlato, la sicurezza sul posto di lavoro o qualsiasi altra questione.

Il servizio è digitale, ovvero non richiede la presenza. Si tratta di un appuntamento in video. A disposizione ci sarà un team di 50 tra psicologi e psichiatri.

Il servizio è attivo dal lunedì al sabato, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 20.

Per richiedere il proprio appuntamento telefonico basta compilare un semplice modulo. Si verrà ricontattati entro un paio di giorni per stabilire insieme la data dell’incontro-video.

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Polizia Locale manovra

L’impegno della Fp Cgil a favore delle tutele e della valorizzazione della professionalità dei lavoratori delle Polizie Locali comincia a registrare alcuni primi, seppur minimi, risultati con la manovra

Prime risposte, seppure ancora non risolutive, per la Polizia Locale nella manovra. L’impegno della Fp Cgil a favore delle tutele e della valorizzazione della professionalità dei lavoratori delle Polizie Locali comincia infatti a registrare alcuni primi, seppur minimi, risultati con le norme recepite nella legge di Bilancio 2021: dal salario all’occupazione, passando per la necessaria legge di riforma. È Antonio Santomassimo, coordinatore nazionale Polizia Locale della Fp Cgil, a spiegarci cosa ci sia in manovra. “Visto l’impagabile impegno svolto dalle lavoratrici e dai lavoratori nel corso della pandemia – spiega -, la manovra offre, anche alla luce delle nostre rivendicazioni, delle prime risposte”.

Andando per gradi, si autorizza ad esempio il pagamento delle indennità di ordine pubblico al personale delle forze di polizia e degli altri oneri connessi all’impiego del personale delle polizie locali per far fronte alle attività di controllo sul territorio legate all’emergenza pandemica con un finanziamento di oltre 40 milioni di euro. Così come il lavoro straordinario, finanziato per il personale direttamente impegnato nella gestione della fase di contenimento dell’esigenza pandemica, sarà in deroga al tetto del salario accessorio vigente presso i singoli enti. Sul fronte assunzioni, invece, la manovra offre agli enti la possibilità di assumere personale a tempo determinato. “Ma si tratta – osserva Santomassimo – di una risposta ancora parziale e non ancora idonea a risolvere i problemi degli organici della polizia locale che non ha bisogno di lavoratori precari ma di risposte strutturali”.

Infine, per quanto riguarda la attesa legge di riforma della Polizia Locale, viene istituito nello stato di previsione del Ministero dell’interno un fondo, con una dotazione di 20 milioni ma a decorrere dal prossimo anno, per la definizione degli interventi necessari a dare attuazione alla riforma della polizia locale e disposti con appositi provvedimenti normativi da parte del ministero competente. Per Santomassimo, “si tratta di un primo segnale di inversione di tendenza. Va chiarito che la somma stanziata appare assolutamente inadeguata, specie per fornire le risposte attese dai lavoratori in merito alle nostre rivendicazioni di estensione delle tutele assicurative, infortunistiche e previdenziali nonché dell’aggiornamento della indennità di vigilanza, ma resta il dato che mai era stato aperto un canale di finanziamento diretto per sostenere la legge di riforma. Finanziare la riforma, rispetto al passato, potrebbe essere un primo passo verso l’effettiva approvazione della legge entro l’anno, dopo oltre trenta anni di attesa”.

Insomma, luci e ombre per la Polizia Locale. “Ci sono risposte, qualche segnale, ma non è ancora sufficiente. Anche perché, nello scenario in cui siamo, bisogna sottolineare che la Polizia Locale è stata e continua ad essere al servizio dei cittadini e del territorio. L’emergenza pandemica li espone a funzioni, attività e compiti di ordine e sicurezza pubblica al pari di tutte le altre forze dell’ordine e con tutti i rischi connessi ma continuano ad essere i soli senza tutele e per questo non possono più aspettare: bisogna dare al più presto le giuste risposte. Continueremo la nostra battaglia per garantire alle lavoratrici e lavoratori della Polizia Locale i necessari diritti e le dovute tutele”.

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